Il GUP del Tribunale di Milano in data 16 luglio 2020 sentenza n. 971, ha specificato la non applicabilità del D.Lgs. 231/2001 pronunciandosi in tale senso: “Chi scrive, in relazione ai tratti specifici che ricorrono nel presente contesto processuale, non riesce a scorgere un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici… Viene pertanto a mancare, nel caso di specie, la ratio di fondo della normativa sulla responsabilità delle persone giuridiche, la quale prevede condotte penalmente devianti tenute da persone fisiche nell’interesse di strutture organizzative di una certa complessità…”

Il GUP (Giudice dell’Udienza Preliminare) ha riscontrato l’impossibilità di individuazione nelle società unipersonali un autonomo centro di interessi e di imputazione di rapporti giuridici che possa essere distinto dalla persona fisica.

La sentenza sopra riportata conferma un orientamento giurisprudenziale già sviluppato nel corso degli anni grazie ad una pronuncia della Corte di Cassazione.

Articolo 1 del D.Lgs. 231/2001:

  1. Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato.”
  2. “Le disposizioni in esso previste si applicano agli enti forniti di personalità giuridica e alle società e associazioni anche prive di personalità giuridica”

Tale sentenza ha stabilito che il mero ricorso alla forma societaria non comporta la automatica applicazione del D.Lgs. 231/2001, in quanto è comunque sempre necessario verificare nel caso concreto l’esistenza di un autonomo centro di interessi dell’ente stesso, che sia ben differenziato da quello della persona fisica a capo dell’ente.

Secondo il giudice pertanto, in assenza di questo presupposto, viene a mancare la “ragione (ratio) di fondo della normativa riguardante la responsabilità delle persone giuridiche”, la quale prevede la perseguibilità di comportamenti penalmente rilevanti posti in essere da persone fisiche, ma sempre nell’interesse delle strutture organizzative dell’ente.

Al contrario, la corrente giurisprudenziale che afferma che non può essere attribuito alcun rilievo al fatto che la società imputata sia unipersonale o pluripersonale, fonda questa sua interpretazione sul concetto secondo cui ogni ente giuridico sia costituito da un autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici.

È possibile quindi notare che anche l’orientamento favorevole all’applicazione di tale decreto alle società unipersonali, concentrandosi sulla divisione tra persona fisica e persona giuridica, prevede un accertamento in concreto dell’esistenza di una persona giuridica che sia ben distinta dalla persona fisica che la rappresenta.

Elemento fondamentale di tale disciplina rimane sempre la necessità di una struttura organizzativa complessa; tale rimane un elemento che, sebbene poco sviluppato, è stato valorizzato anche da un’altra sentenza della Corte di Cassazione (Cass. penale sez. III, sent. 15/12/2010 n.15657), la quale ha revocato una precedente sentenza del GUP, stabilendo la non applicabilità di tale decreto alle società unipersonali in quanto non è possibile riscontrare una differenza tra interessi della persona giuridica ed interessi della persona fisica; orientamento a cui si è infatti conformato il GUP nella sentenza in esame in questo articolo.

In conclusione possiamo ritenere che la sentenza in esame detiene il merito di aver superato l’ostacolo del mero dato formale ed aver adottato gli argomenti da sempre utilizzati dalla Corte di Cassazione per sostenere un’interpretazione logica e fedele delle normative (nel caso di specie il D.Lgs. 231/2001), al punto di ritrovare nell’esigenza di sanzionare “una condotta propria” degli enti e non delle persone fisiche, evitando perciò il rischio di incorrere in una doppia applicazione della sanzione penale e/o amministrativa.   

 

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